venerdì 26 febbraio 2010

Erich Maria Remarque

Erich Paul Remark nacque a Osnabrück in una famiglia cattolica. A diciotto anni fu sollecitato ad arruolarsi volontario, durante la Prima guerra mondiale, dove fu ferito più volte. Dopo la guerra cambiò il suo cognome in Remarque, che era stato il nome della famiglia fino a suo nonno. Cambiò molti lavori, diventando bibliotecario, uomo d'affari, insegnante e giornalista.

Nel 1929 pubblicò la sua opera più famosa, Niente di nuovo sul fronte occidentale (Im Westen nichts Neues) con il nome Erich Maria Remarque (cambiando il suo secondo nome in onore della madre): il romanzo descriveva la totale crudeltà della guerra attraverso la prospettiva di un soldato diciannovenne. In seguito scrisse altre opere simili, che con un linguaggio semplice e toccante descrivevano in modo realistico la vita durante e dopo la guerra.

Nel 1933, i nazisti bruciarono e misero al bando le opere di Remarque, mentre la propaganda di regime faceva circolare la voce che discendesse da ebrei francesi e che il suo cognome fosse Kramer, cioè il suo vero nome al contrario. Questa informazione è ancora presente in alcune biografie nonostante la mancanza di prove a supporto. Remarque visse in Svizzera dal 1931, e nel 1939 si trasferì negli Stati Uniti con la prima moglie, Ilsa Jeanne Zamboui, che sposò e dalla quale si separò due volte; divennero cittadini statunitensi nel 1947. Nel 1948 tornò in Svizzera. Nel 1958 sposò l'attrice hollywoodiana Paulette Goddard che rimase con lui fino alla sua morte, avvenuta nel 1970 a 72 anni.

venerdì 19 febbraio 2010

Parafrasi Pastori

E' settembre, è il tempo di migrare da un luogo ad un altro, il tempo nel quale i pastori abruzzesi lasciano gli alti pascoli e scendono verso il mare verde come i pascoli lassù sulla monta-gna.

Hanno molto bevuto alle sorgenti native, affinchè il sapore di quell'acqua duri nei loro cuori e li conforti nel forzato esilio; hanno con sè il bastone di nocciolo su cui si appoggiano durante il cammino e con cui guidano le greggi .

Scendono per la via larga come fiume verdeggiante, calcando le orme dei padri e degli avi che hanno sempre percorso le stesse vie. Oh, esultanza di colui che per primo scorge il mare e ne grida l'annuncio ai compagni !

Ora il gregge costeggia il mare. Nulla turba l’aria.
Sotto il sole la lana bionda delle pecore non si differenzia dal biondo colore della sabbia.
Sciacquio d'onde, echi di passi e di canti si fondono in una sola armonia:

ed io (il poeta), lontano dalla mia terra, mi rammarico perchè non sono in compagnia dei pastori.

Pastori

Settembre, andiamo. E' tempo di migrare.
Ora in terra d'Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
scendono all'Adriatico selvaggio
che verde è come i pascoli dei monti.

Han bevuto profondamente ai fonti
alpestri, che sapor d'acqua nafia
rimanga ne' cuori esuli a conforto
che lungo illuda la lor sete in via.
Rinnovato hanno verga d'avellano.

E vanno pel tratturo antico al piano,
quasi per un erbal fiume silente
su le vestigia degli antichi padri.
O voce di colui che primamente
conosce il tremolar della marina!

Ora lungh'esso il litoral cammina
la greggia.Senza mutamento è l'aria.
Il sole imbionda sì la viva lana
che quasi dalla sabbia non divaria.
Isciaquìo, calpestìo, dolci rumori.

Ah perchè non son io co' miei pastori?

Gabriele d'Annunzio

Gabriele d'Annunzio nacque a Pescara il 12 marzo 1863, figlio di Francesco Paolo Rapagnetta d'Annunzio e di Luisa de Benedhictis. Nonostante la leggenda, all'anagrafe fu registrato col solo cognome d'Annunzio, che il padre aveva aggiunto, per adozione da parte dello zio materno Antonio (marito della zia Anna Lolli), nel 1851. Terzo di cinque fratelli, visse un'infanzia felice, distinguendosi per intelligenza e vivacità. Della madre erediterà la fine sensibilità, del padre il temperamento sanguigno, la passione per le donne e la disinvoltura nel contrarre debiti, cosa che portò la famiglia da una condizione agiata ad una difficile situazione economica. Non tardò a manifestare una personalità priva di complessi e inibizioni, portata al confronto competitivo con la realtà. Una testimonianza ne è la lettera che, ancora sedicenne (1879), scrive a Giosuè Carducci, il poeta più stimato nell'Italia umbertina, mentre frequenta il liceo al prestigioso istituto Convitto Cicognini di Prato. Nel 1879 il padre finanziò la pubblicazione della prima opera del giovane studente, Primo vere, una raccolta di poesie che ebbe presto successo. Accompagnato da un'entusiastica recensione critica sulla rivista romana Il Fanfulla della Domenica, il successo del libro venne aumentato dallo stesso D'Annunzio con un espediente: fece diffondere la falsa notizia della propria morte per una caduta da cavallo. La notizia ebbe l'effetto di richiamare l'attenzione del pubblico romano sul romantico studente abruzzese, facendone un personaggio molto discusso. Dopo aver concluso gli studi liceali presso il Real Ginnasio-Liceo "G.B.Vico" di Chieti, giunse a Roma nel 1881, con una notorietà che andava crescendo.

mercoledì 17 febbraio 2010

I MALAVOGLIA


Presso il paese di Aci Trezza, nel catanese, vive la famiglia Toscano che, nonostante sia decisamente laboriosa, viene soprannominata (per antifrasi) Malavoglia. Il patriarca è Padron 'Ntoni, vedovo, che vive presso la casa del nespolo insieme al figlio Bastiano (detto Bastianazzo, nonostante sia di statura tutt'altro che elevata), quest'ultimo sposato con Maria (detta Maruzza la Longa). Bastiano ha cinque figli: 'Ntoni, Luca, Filomena (detta Mena), Alessio (detto Alessi) e Rosalia (detta Lia). Il principale mezzo di sostentamento è la "Provvidenza", una piccola imbarcazione utilizzata per la pesca. Nel 1863 'Ntoni, il maggiore dei figli, parte per la leva militare. Per far fronte alla mancanza, Padron ‘Ntoni tenta un affare comprando una grossa partita di lupini - peraltro avariati - da un suo compaesano, chiamato Zio Crocifisso per via delle sue continue lamentele e del suo perenne pessimismo. Il carico viene affidato al figlio Bastianazzo perché vada a venderlo a Riposto, ma egli perderà tutta la merce durante un naufragio, e con essa anche la vita. A seguito di questa sventura, la famiglia si ritrova con una triplice disgrazia: il debito dei lupini, la Provvidenza da riparare e la perdita di Bastianazzo e quindi di un membro importante della famiglia. Finito il servizio militare, 'Ntoni torna molto malvolentieri alla vita laboriosa della sua famiglia, e non rappresenta alcun sostegno per la già precaria situazione economica del nucleo familiare.

Purtroppo, le disgrazie per la famiglia non terminano. Luca, uno dei nipoti, muore nella battaglia di Lissa (1866), e questo determina la rottura del fidanzamento di Mena con Brasi Cipolla. Il debito causerà alla famiglia la perdita dell'amata Casa del nespolo, e via via la reputazione della famiglia andrà peggiorando fino a raggiungere livelli umilianti. Un nuovo naufragio della "Provvidenza" porta Padron 'Ntoni ad un passo dalla morte, dalla quale, fortunatamente, riesce a scampare. In seguito Maruzza, la nuora, muore di colera. Il primogenito 'Ntoni decide di andare via dal paese per far ricchezze, ma, una volta tornato ancora più impoverito, perde ogni desiderio di lavorare, dandosi all'alcolismo ed all'ozio. La partenza di 'Ntoni costringe la famiglia a vendere la Provvidenza per accumulare denaro al fine di riacquistare la casa del nespolo, mai dimenticata. La padrona dell'osteria Santuzza, già ambita dallo sbirro Don Michele, a causa dei numerosi intrallazzi di quest'ultimo, si invaghisce di 'Ntoni, mantenendolo gratuitamente all'interno del suo locale. La condotta di 'Ntoni e le lamentele del padre la convinceranno a distogliere le sue aspirazioni dal ragazzo, e a richiamare Don Michele all'osteria. Ciò sarà origine di una rissa tra i due; rissa che sfocerà in una coltellata di 'Ntoni al petto di Don Michele durante una retata anti contrabbando alla quale il Malavoglia si era dato. 'Ntoni finirà dunque in prigione. Padron 'Ntoni, accorso al processo e sentite le voci circa una relazione tra Don Michele e sua nipote Lia, stramazza al suolo. Ormai vecchio, il suo salmodiare si fa sconnesso e i suoi proverbi pronunciati senza cognizione di causa. Lia, la sorella minore, vittima delle malelingue, lascia il paese e si abbandona all'umiliante mestiere della prostituta. Mena, a causa della vergognosa situazione della sorella, sceglie di rinunciare a sposarsi con compare Alfio, di cui è innamorata, e rimarrà in casa ad accudire i figli di Nunziata e di Alessi, il minore dei fratelli, che continuando a fare il pescatore ricostruirà la famiglia e potrà ricomprare la "casa del nespolo". Acquistata la casa, ciò che resta della famiglia farà visita all'ospedale al vecchio Padron 'Ntoni, per informarlo della compravendita e annunciargli un suo imminente ritorno a casa. Sarà l'ultima gioia per il vecchio, che morirà proprio nel giorno del suo agognato ritorno. Neanche il desiderio di morire nella casa dov'era nato sarà dunque esaudito. Quando 'Ntoni, uscito di prigione, ritornerà al paese, si renderà conto di non poter restare a causa del suo passato, in cui si è auto-escluso dal nucleo familiare rinnegando sistematicamente i suoi valori.

Giovanni Verga


Giovanni Carmelo Verga (Vizzini, 2 settembre 1840 – Catania, 27 gennaio 1922) è stato uno scrittore italiano, considerato il maggior esponente della corrente letteraria del verismo.Giovanni Verga nacque il 2 settembre 1840: fu registrato all'anagrafe di Catania, anche se alcuni sostengono che sia nato in contrada Tièpidi, nel territorio di Vizzini, dove la famiglia si trovava per evitare l'epidemia di colera che affliggeva Catania. In tale contrada la famiglia Verga possedeva una tenuta di villeggiatura. Il padre, Giovanni Battista Catalano, era di Vizzini, dove la famiglia Verga aveva delle proprietà, e discendeva dal ramo cadetto di una famiglia alla quale appartenevano i baroni di Fontanabianca; la madre si chiamava Caterina Di Mauro e apparteneva ad una famiglia borghese di Catania. Il nonno di Giovanni, come testimonia il De Roberto[2] in un articolo raccolto, insieme a molti altri, in un volume a cura di Carmelo Musumarra, era stato carbonaro e, nel 1812, eletto deputato per Vizzini al primo parlamento siciliano.

Giovanni Pascoli


Giovanni Antonio Pascoli (San Mauro di Romagna, 31 dicembre 1855 – Bologna, 6 aprile 1912) è stato un poeta italiano, una delle figure maggiori della letteratura italiana di fine Ottocento.

La poesia di Pascoli è caratterizzata da una metrica formale con versi endecasillabi, sonetti e terzine coordinati con musicale semplicità. Nonostante la classicità della forma esterna - provata dal gusto per le letture scientifiche, alle quali si ricollegano il tema cosmico e la precisione del lessico botanico e zoologico - Pascoli ha saputo rinnovare la poesia nei suoi contenuti, toccando temi fino ad allora trascurati dai grandi poeti. Grazie alla sua poetica è stato capace di trasmettere il piacere delle cose più semplici, viste con la sensibilità infantile che ogni uomo porta dentro di sé.

Pascoli, personalità di acuta e complessa sensibilità verso le sofferenze della vita e le ingiustizie della società, era incline ad un mite pessimismo esistenziale, in gran parte riconducibile alla sua difficile infanzia e ai lutti familiari che indelebilmente la segnarono. Egli seppe conservare sempre un senso profondo di umanità e di fratellanza, rafforzate dalla convinta e generosa adesione agli ideali del socialismo umanitario che, specie nelle terre di Romagna, trovavano intellettuali e capipopolo sempre più fervorosi. Indebolito la dogmatica certezza dell'ordine razionale del mondo in cui aveva creduto il positivismo, il poeta, di fronte al dolore e al male che dominano sulla Terra, recupera il valore etico della sofferenza che riscatta gli umili e gli infelici, capaci di perdonare i propri persecutori.

PARAFRASI X AGOSTO

San Lorenzo, io lo so perché un così gran numero
di stelle nell’aria serena
s’incendia e cade, perché un così gran pianto
risplende nel cielo.


Una rondine ritornava al suo nido:
l’uccisero: cadde tra rovi spinosi:
ella aveva un insetto nel becco:
la cena per i suoi rondinini.



Ora è là, morta, come se fosse in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e i suoi rondinini sono nell’ombra, che attendono,
e pigolano sempre più piano.



Anche un uomo tornava alla sua casa:
lo uccisero: disse: Perdono;
e nei suoi occhi sbarrati restò un grido:
portava con sé due bambole per le figlie...



Ora là, nella solitaria casa,
lo aspettano, aspettano invano:
egli, immobile, stupefatto mostra
le bambole al cielo lontano.



E tu cielo, dall’alto dei mondi
sereni, che sei infinito, immortale
inondi con un pianto di stelle
quest’atomo opaco del male!

X AGOSTO

X AGOSTO
San Lorenzo , io lo so perché tanto
di stelle per l'aria tranquilla
arde e cade, perché si gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.


Ritornava una rondine al tetto :
l'uccisero: cadde tra i spini;
ella aveva nel becco un insetto:
la cena dei suoi rondinini.


Ora è là, come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell'ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.


Anche un uomo tornava al suo nido:
l'uccisero: disse: Perdono ;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono.


Ora là, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.


E tu, Cielo, dall'alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh! d'un pianto di stelle lo inondi
quest'atomo opaco del Male!